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Nasce la SAMMY-seq, la tecnologia per sequenziare il DNA e studiare l’invecchiamento precoce

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Sequenziare il DNA con l’obiettivo di identificarne possibili alterazioni. Si chiama SAMMY – seq ed è una nuova tecnologia in grado di classificare la struttura del DNA in base a specifici parametri chimico-fisi, identificandone le alterazioni e caratterizzando nel dettaglio quelle regioni colpite da un eventuale cambio di conformazione, responsabili del successivo susseguirsi di alterazioni ad effetto domino. Tutto cio’ nasce dalla sinergia dell’Istituto Nazionale di Genetica Molecolare Romeo ed Enrica Invernizzi, l’Istituto FIRC di Oncologia Molecolare, l’Istituto di Tecnologie Biomediche e l’Istituto di Genetica Molecolare del Consiglio Nazionale delle Ricerche, attraverso i team coordinati da Chiara Lanzuolo e Francesco Ferrari.

La tecnologia – descritta in uno studio su Nature Communications - è utilizzabile anche sui tessuti e sulle cellule primarie e può essere quindi declinata in diversi contesti a scopi diagnostici o di monitoraggio per valutare l’efficacia dei protocolli terapeutici.

 Il nome della tecnologia è sia un acronimo (Sequential Analysis of MacroMolecules accessibilitY) che un voluto omaggio a Sammy Basso, il paziente venticinquenne simbolo della progeria – malattia caratterizzata dall’invecchiamento precoce nei bambini - e biologo molecolare impegnato in prima linea nella ricerca. Sammy, infatti, è fondatore della Associazione Italiana Progeria Sammy Basso e ha collaborato in prima persona, come paziente per terapie sperimentali e come ricercatore, allo sviluppo di nuovi percorsi di ricerca nell’ambito delle laminopatie.

 Le laminopatie rientrano in un gruppo di patologie ereditarie riconducibili ad una mutazione del gene LMNA che codifica per una proteina dell’involucro nucleare, la Lamina A/C. La sindrome dell’invecchiamento precoce o Hutchinson Gilford Progeria Syndrome (HGPS) è una malattia genetica rara che colpisce un bambino su 4 – 8 milioni, presenta delle mutazioni in una proteina specifica, la Lamina A. Questa, che ha il compito di modellare la forma del DNA, nei pazienti affetti da HGPS produce una proteina tronca che determina una distorsione nella forma del DNA. Dopo il primo anno di vita, nei soggetti affetti, si verifica un assottigliamento della pelle unitamente al deperimento della forza muscolare, seguita da lipodistrofia generalizzata, osteoporosi, rigidità e fragilità delle capsule e si riscontra forte incidenza di malattie cardiovascolari tipiche delle persone più anziane assieme a vari altri problemi correlati. 



 Sammy Basso nella duplice veste di paziente e studioso: “la ricerca mi ha aiutato a conoscere la malattia e la malattia mi ha fatto innamorare della ricerca”

 Dott. Basso, in qualità di biologo molecolare, come pensa che lo sviluppo della SAMMY-seq cambierà le prospettive di ricerca delle laminopatie?

 “Credo che la SAMMY-seq sia una tecnica che aprirà un sacco di porte e ci darà modo di avere a disposizione molte più prospettive con le quali studiare, capire e poi trattare le laminopatie, è dunque un bel punto di partenza per quel tipo di ricerca di base che sempre di più si avvicina e spesso si confonde con la ricerca clinica. Il problema che sta alla base della progeria e delle altre laminopatie, ossia tutte quelle sindromi derivanti dalla malformazione della lamina nucleare, è proprio quello di non utilizzare in maniera corretta le informazioni contenute nel DNA. In poche parole, sebbene per esempio la progeria sia causata da una singola mutazione su 3 miliardi e 200 milioni di basi, in realtà si esprime come un uso aberrante di moltissimi altri geni, che per l’appunto risulta in un invecchiamento precoce dell’organismo. SAMMY-seq, andando ad analizzare di preciso quali sono le porzioni di genoma che più sono espresse o non espresse in maniera aberrante, permetterà di dare un quadro più completo della malattia, delle sue pathway molecolari di base arrivando a decifrare in maniera più precisa la sintomatologia riscontrata nei pazienti, della quale spesso, seppur ben conosciuta, si ignorano le cause prime”.

 Quali pazienti (oltre a quelli affetti da progeria) potranno beneficiare di questa innovazione?

 “Tecnicamente questa nuovo approccio di studio del DNA potrebbe applicarsi a tutte le malattie. Infatti, nonostante non tutte le malattie genetiche siano dovute ad un’alterazione a catena dell’espressione di molti geni, l’epigenetica, ossia lo studio di come il DNA viene utilizzato dalla cellula, è un ramo della ricerca in perenne ascesa, che spesso fornisce risultati inaspettati nello studio delle malattie genetiche (e non solo). Sicuramente, i pazienti laminopatici, proprio per la caratteristica peculiare delle loro sindromi e per la variabilità dei sintomi della malattia, beneficeranno di questa tecnica in maniera molto forte: scoprire quali geni sono più o meno espressi rispetto alle persone sane, può aiutare ad ideare nuovi approcci clinici per contrastare tali anomalie. In una prospettiva a lungo termine, idealmente SAMMY-seq potrebbe essere un buon punto di partenza anche per la cosiddetta e tanto agognata medicina personale, che sebbene sia ancora lontana, è un evidente obiettivo comune sia della ricerca di base sia delle terapie cliniche”.

 La sua esperienza come paziente è stata una risorsa? Pensa abbia influito nel suo approccio alla ricerca?

“Credo che la mia esperienza di paziente sia stata importante nella ricerca: da molto tempo ormai è chiaro che quando dei ricercatori incontrano dei pazienti succede la magia! I rapporti umani e di amicizia che si creano fanno sì che ci sia un motivo in più per fare ricerca, ossia quello di aiutare delle persone che si amano ad avere una vita migliore, o addirittura semplicemente ad avercela una vita. Il fatto che questa nuova tecnica, così innovativa, sia stata chiamata con il mio nome (e per me è un grande onore), è proprio una dimostrazione di quanto stretti sono i rapporti che poi si creano. Per quel che riguarda me in prima persona come giovane ricercatore devo dire che l’essere paziente è stato importante per capire che la scienza e la ricerca sono indissolubilmente legate alla mia vita e che probabilmente sono la mia via. Diciamo che se la ricerca mi ha aiutato a livello personale a conoscere meglio la mia malattia e dunque ad affrontarla e ad essere una persona più consapevole, la malattia mi ha dato l’opportunità di conoscere questo mondo, di conoscere i ricercatori che oltre ad essere amici sono ora per me anche maestri e che con la loro passione mi hanno fatto innamorare della ricerca e di quella meraviglia che si svela ad ogni passo in più che viene fatto per la comprensione del mondo che ci circonda.

Diventato studente di scienze naturali e biologia molecolare poi, ho avuto modo di toccare con mano la ricerca sulla progeria, affrontando proprio degli approcci innovativi per trattare questa patologia nella tesi. Da una parte studiare così nel profondo le dinamiche molecolari e fisiologiche della mia malattia mi ha rassicurato, credo che la conoscenza e la consapevolezza siano un mezzo potentissimo contro la paura, dall’altra però ero spaventato che un coinvolgimento troppo emotivo non mi avrebbe permesso di svolgere i miei compiti con il dovuto distacco o rigore scientifico. Devo dire che questo non si è realizzato e sono riuscito scindere bene il mio essere paziente dal mio essere giovane scienziato, dunque la malattia mi aiuta semplicemente a ricordare che dietro ogni esperimento, dietro ogni lavoro fatto con rigore, si schiudono nuove speranze non solo per chi è affetto da qualche malattia, ma anche per tutti coloro che nel corso della vita possono andare incontro ai normali limiti del nostro corpo”.

 Quanto è importante acquisire un’ottica inclusiva all’interno del mondo della ricerca che tenga conto del contributo dei pazienti per portare avanti il lavoro di sperimentazione anziché considerarli solo come persone da curare?

 “Da quando io e i miei genitori abbiamo fondato la nostra associazione nel 2005, e dopo aver collaborato con moltissime realtà sia in Italia che all’estero, ci siamo accorti che il coinvolgimento dei pazienti è sempre più fondamentale. Proprio i pazienti possono essere un grande aiuto per i medici per capire più a fondo la malattia con la quale convivono e su quali aspetti di essa puntare, che sembrano secondari ma che magari impattano fortemente sulla qualità della vita quotidiana.

Non solo, trovo che il coinvolgimento dei pazienti sia ottimo per formare persone più consapevoli della propria malattia e, dunque, per sradicare certi luoghi comuni sulla malattia o su chi ne è colpito che ancora sussistono anche tra i pazienti stessi. Trovo che la comunicazione scientifica, ce ne siamo accorti durante la pandemia, sia ormai essenziale per la crescita della società, e coinvolgere i pazienti nella ricerca è uno dei passi sine quibus non per fare ciò. Per questo il nostro impegno, più che a convincere i ricercatori dell’importanza di questo aspetto - essi anzi lo incoraggiano - è volto nel far capire ai pazienti l’importanza di essere coinvolti. Dei pazienti informati poi, oltre ad aiutare ricercatori e medici, possono occuparsi di una sana divulgazione scientifica, che abbia un impatto positivo nella società per quanto riguarda la fiducia verso la scienza e che scardini i pregiudizi verso le persone con disabilità. Questo non solo alleggerirebbe il carico di lavoro dei ricercatori, ma è essenziale nella raccolta di fondi da destinare alla ricerca, e anche nel dare una spinta propositiva alle Istituzioni per investire nel progresso scientifico. Come associazione ci siamo resi conto di ciò quando assieme all’Istituto di Genetica Molecolare del CNR abbiamo fondato nel 2009 il primo Network Italiano Laminopatie proprio con lo scopo di mettere assieme ricercatori, medici, case farmaceutiche, associazioni e pazienti con l’intenzione di lavorare come fronte unito alla lotta verso queste rare eppur importanti malattie”.

 

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  • Data di pubblicazione 15 luglio 2021
  • Ultimo aggiornamento 15 luglio 2021