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Maternità e disabilità: parlarne per abbattere muri, pregiudizi e falsi miti

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di Daniela De Vecchis

All’inizio era un semplice gruppo whatsapp, una chat privata a tre voci, quelle di Antonella, Margherita e Samanta: tre amiche, tre mamme, accomunate da una qualche disabilità fisica. Poi, la lista delle partecipanti si è allungata, tante altre donne che condividevano la medesima condizione di mamme disabili hanno chiesto di poter entrare nella chat, hanno cominciato a condividere problemi, storie, consigli, a tal punto da decidere di convogliare tutto in una pagina Facebook, dove uno spazio maggiore consentiva di parlare a 360° di disabilità e maternità. Così è nato circa un anno fa DisabilmenteMamme – che si è arricchito presto della relativa pagina Instagram -, un progetto a cui collaborano ginecologi, ostetriche, motival coach, progettisti esperti nell’abbattimento delle barriere architettoniche, persone insomma sensibili a questa tematica e che percepiscono la disabilità non come qualcosa di separato, di estraneo, che non li riguarda, ma al contrario come qualcosa di normale, come una delle possibili condizioni della vita.

“Cerchiamo di combattere pregiudizio, disinformazione e paura – afferma Antonella Tarantino, di Modena, Presidente di DisabilmenteMamme, editor e mamma di un bambino di sei anni – e il fatto che in poco tempo contiamo già migliaia di iscritti, con un trend in crescita, è segno che ce n’era bisogno, che era ora di parlare con consapevolezza e liberamente di un argomento che per molti, disabili e non, è ancora un tabù. Io stessa, quando sono rimasta incinta mi sono scontrata con tanti silenzi ma soprattutto con tanti pregiudizi; mi dicevano “ma che fai? Sei tu che hai bisogno di qualcuno che ti assista, come puoi occuparti di un figlio?”, “sei egoista” oppure “ti senti un’eroina?”. A nessuno veniva in mente che noi disabili siamo innanzitutto donne che, al pari delle altre, hanno ambizioni, sogni e desideri. Poi siamo o possiamo essere mogli, ma anche qui ho constatato la difficoltà di pensare che una disabile possa sposarsi (non poche volte mio marito è stato scambiato per un caregiver), come fossimo asessuate. Infine siamo o vogliamo essere mamme, con qualche ostacolo in più nel corso di questa avventura, ma semplicemente mamme. La disabilità c’è, è parte di te, ma non è te stessa, non ti identifica come un marchio, un’etichetta”.

Barriere e miti da sfatare non mancano neanche in ambito medico-sanitario. “Anch’io mi sono sentita spesso giudicata e umiliata. Mi sono sentita chiedere se non avevo pensato di poter trasmettere la malattia a mio figlio, quando invece si tratta di malformazioni e non di malattie genetiche trasmissibili. Ho dovuto cambiare ospedale per poter avere un parto naturale, poiché nella struttura a cui mi ero rivolta non ho avuto possibilità di scelta rispetto al cesareo – racconta Samanta Crespi, di Varese, co-fondatrice di DisabilmenteMamme e mamma a sua volta di una bimba di quattro anni e mezzo - Una delle cose che facciamo attraverso la nostra pagina FB è infatti indirizzare le future mamme verso strutture idonee, con esperienza di gravidanze di donne disabili, proprio per permettere libertà di scelta quanto alle modalità del parto”.

Uno spazio, dunque, di condivisione per arrivare ad offrire consigli pratici, aiuti concreti a chi vive da disabile quel periodo particolare che è, per tutte, una continua scoperta, ovvero il periodo della gravidanza e quello successivo della maternità. “Nella nostra pagina FB si può raccontare liberamente la propria esperienza di mamma disabile – afferma Margherita Rastiello, di Cagliari, vice-presidente di DisabilmenteMamme e mamma di un bimbo di due anni – e arricchire gli altri di tutti quegli accorgimenti, quelle strategie che dobbiamo escogitare quando allattiamo o quando usiamo il fasciatoio o quando, essendo difficile spostarsi, lo dobbiamo sostituire con un altro spazio dove cambiare e poter lavare il nostro bambino sullo stesso piano”. Le difficoltà, a volte, si sa, tirano fuori una grande inventiva. Samanta, ad esempio, ha raccontato di aver progettato e creato, con l’aiuto del marito, un vero e proprio accessorio del passeggino: due strutture laterali dove poggiare le sue stampelle, mentre lo spingeva. “Ma raccontiamo anche – va avanti Margherita - la normale vita quotidiana, quindi la gestione delle pulizie con tutti i nostri percorsi mentali prima che fisici, costellati di punti di appoggio che ci aiutano nelle attività. Insomma, facciamo tutto, solo che lo facciamo diversamente”.

C’è anche chi non si accetta come disabile e, per questo, non ha la forza di fare progetti, quale è un figlio. Come infondere coraggio, pur senza ignorare i propri limiti? “Per quanto contino il carattere, l’educazione familiare, la sensibilità personale, accettarsi è la chiave di tutto – afferma Antonella – non accettarsi significa sentirsi perennemente inadeguata, accettarsi per come si è e accettare anche l’aiuto degli altri significa essere libere”. E allora, concludono, “bisogna parlare di più, informarsi e informare, condividere storie e soluzioni, aumentare la consapevolezza, fare rete per godere della genitorialità in pienezza, nonostante la presenza di una disabilità”. 

  • Data di pubblicazione 1 settembre 2021
  • Ultimo aggiornamento 1 settembre 2021