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Malattie non diagnosticate, all’ISS un corso per insegnare a medici e ricercatori di tutto il mondo possibili strategie “risolutive”

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Arrivare ad una diagnosi. E’ questo l’auspicio per tutti quei pazienti che convivono con una malattia o una condizione talmente sconosciuta da non avere neppure un nome. Ed è per “risolvere” questi casi che il Centro Nazionale Malattie Rare (CNMR) dell’ISS ha organizzato lo scorso 12-14 aprile 2021 il corso internazionale "Training on strategies to foster solutions of undiagnosed rare disease cases". L’iniziativa, avviata nel 2020 e che si prefigge di essere un appuntamento annuale proprio nel mese in cui ricorre la Undiagnosed Children’s Day (il 30 aprile), fa parte di una serie di attività formative proposte e finanziate dal progetto europeo Horizon 2020 “European Joint Programme on Rare Diseases” (EJP RD). Direttore del corso è Domenica Taruscio, alla guida del CNMR, mentre il coordinamento è affidato a Claudio Carta, ricercatore del CNMR , leader di un Work Package e della relativa attività nell’ambito dell’EJP RD.

Dott. Carta, quali sono le finalità del corso e come si svolge?

“Scopo del progetto è proporre strategie e strumenti (molecolari, informatici, telematici, digitali) che possano contribuire al raggiungimento di nuove diagnosi per tutti quei pazienti per cui non si è riusciti a identificare la patologia, nonostante anni di accertamenti clinici in tal senso. I partecipanti apprendono strategie e utilizzo di strumenti attraverso “use cases” presentati principalmente, e a rotazione nel corso delle varie edizioni del corso, dalle istituzioni coinvolte. Le presentazioni sono illustrate in modo interattivo dai relatori che pongono quesiti ai discenti durante lo svolgimento stesso della presentazione. Inoltre, i partecipanti hanno la possibilità di apprendere, in tempo reale e con vere e proprie prove pratiche, l’analisi e l’interpretazione di dati molecolari, l’utilizzo degli strumenti informatici che hanno contribuito a raggiungere la diagnosi del caso illustrato. Dunque, il filo rosso che sottende e guida l’iniziativa è la condivisione: condivisione delle conoscenze, degli strumenti e dei programmi utilizzati, che porta, perciò, alla nascita e al rafforzamento di nuove collaborazioni”.

 

Dove si svolge e chi può partecipare?

 “Il corso, internazionale e privo di costi di iscrizione, è organizzato dall’ISS in stretta collaborazione con i partner del programma EJP RD, ha una durata di tre giorni e si svolge, normalmente, nelle aule dell’ISS. Tuttavia, a causa dell’attuale situazione pandemica è stato adattato temporaneamente in un formato online. Si rivolge ai ricercatori, ai clinici e agli specialisti coinvolti nella diagnosi e nella ricerca delle malattie rare. I partecipanti sono selezionati, in quanto i posti sono limitati ad un massimo di 30 persone, anche nel caso in cui si svolga online. La selezione si basa sul Curriculum vitae e sul background di ciascuno e, in generale, viene data priorità a chi è coinvolto negli European Reference Networks e ai programmi e progetti nazionali e internazionali focalizzati sulle malattie non diagnosticate”.

 

Si è giunti alla risoluzione di qualche caso grazie alle metodologie e agli esempi illustrati?

 “Siamo ancora all’inizio, quello che si è svolto pochi giorni fa è solo la seconda edizione, e senz’altro ne aspettiamo i risultati. Tuttavia, l’interesse che suscita è tangibile nel numero di richieste di partecipazione che abbiamo ricevuto da varie parti del mondo, decisamente superiore al numero dei posti disponibili, e il suo impatto è visibile a partire dalle interazioni e dalle richieste di collaborazioni tra partecipanti e docenti, ma anche tra docenti stessi.

 

Il corso è finanziato con i fondi dello European Joint Programme on Rare Diseases. Di cos’altro si occupa tale progetto?

 “Il Programma Congiunto Europeo sulle Malattie Rare (EJP RD) mira a creare una strategia internazionale, innovativa e collaborativa, per assicurare una rapida translazione della ricerca nelle applicazioni cliniche e nell’assistenza sanitaria a beneficio dei pazienti. Per raggiungere il suo obiettivo, EJP RD ha integrato ed espanso infrastrutture esistenti, attività di formazione, programmi di finanziamento per progetti innovativi e strumenti utili alla ricerca, alla diagnosi e alla cura delle malattie rare. Inoltre, EJP RD sta sviluppando nuovi strumenti e nuovi corsi di formazione per offrire alla comunità scientifica un ecosistema armonizzato per la ricerca sulle malattie rare che produca benefici ai pazienti nel modo più efficiente”.

 

 

Il Network delle malattie rare senza nome

 Era il 2008 quando il National Institute of Health (NIH) statunitense sviluppava “The Undiagnosed Diseases Program”, per poter ospitare i pazienti presso le strutture cliniche di Bethesda (Maryland). Qui, attraverso l’esecuzione di una cospicua serie di analisi, a circa il 25%-50% dei pazienti viene data una diagnosi definitiva anche se, purtroppo, il 25% dei casi resta “unsolved”. Sulla scia di quanto accadeva all’NIH e su impulso del CNMR, nel 2014 un ristretto numero di ricercatori provenienti da varie parti del mondo, fondava all’ISS, in occasione di quello che sarebbe poi stato ribattezzato come la prima Conferenza internazionale,  l’Undiagnosed Rare Diseases Network International (UDNI), in stretta collaborazione con l’NIH americano e il supporto della Wilhelm Foundation, un’associazione di pazienti nata per sostenere la ricerca sulle malattie senza diagnosi.

In pratica, un Network internazionale dove medici e ricercatori (ma anche gli stessi malati rari o loro rappresentanti) possono condividere i dati clinici di ciascun paziente e scoprire magari che, da qualche altra parte del pianeta, esiste “un secondo paziente” con un quadro clinico simile a quello del primo. Una seconda possibilità per chi, nonostante vari sforzi, non ha ancora ricevuto una diagnosi, che si serve anche di un’apposita sezione in cui vengono condivise le fotografie dei pazienti (effettuate nel pieno rispetto della normativa sulla privacy - GDPR), accompagnate da una breve descrizione clinica, fenotipica (ossia le caratteristiche fisiche causate dalla malattia) e genotipica, per consentirne la condivisione a livello globale e facilitarne il riconoscimento. Quando il confronto mostra che due pazienti sono molto simili per fenotipo e caratterizzazione genotipica, i ricercatori dei due gruppi si confrontano per approfondire gli studi e verificare la possibilità che si sia di fronte a due casi della stessa malattia e che, auspicabilmente, l’eventuale mutazione genetica identificata sia responsabile della patologia. Al fine ultimo di migliorare la diagnosi o, meglio ancora, arrivare ad una diagnosi certa, grazie alla quale poter accedere ad appropriati percorsi di presa in carico e cura.

Ad oggi hanno aderito ad UDNI 32 Paesi di tutti i Continenti: Australia, Austria, Belgio, Brasile, Bulgaria, Canada, Cile, Cina, Ecuador, Francia, Georgia, Germania, Ghana, Hong Kong, Ungheria, India, Israele, Italia, Giappone, Corea, Mali, Nuova Zelanda, Filippine, Singapore, Spagna, Sri Lanka, Svezia, Svizzera, Tailandia, Paesi Bassi, Turchia, Usa. A breve entreranno a far parte del Network anche Pakistan e Sud Africa arricchendo con le loro esperienze il contributo di tutta la comunità scientifica nei confronti di questa importante iniziativa. Infine, è stato avviato un nuovo gruppo di lavoro all’interno di UDNI (UDNI Developing Countries Group), cui partecipano 19 Paesi, dedicato ad indirizzare e supportare le strategie intraprese nei paesi in via di sviluppo per sostenere la ricerca sulle malattie rare senza diagnosi.

 

Il Network italiano delle malattie senza diagnosi

 Nel 2016, il CNMR, in collaborazione con l’NIH, ha avviato, nell’ambito di UDNI, un programma nazionale sulle malattie rare senza diagnosi, Undiagnosed Rare Diseases: a joint Italy - USA project, finanziato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione. Il traguardo che si prefigge il Network italiano, coordinato dal CNMR - e supportato da una struttura interdipartimentale istituita nel CNMR dedicata alle malattie rare senza diagnosi coordinata da Marco Salvatore, ricercatore del Centro e docente al Training on strategies to foster solutions of undiagnosed rare disease cases - è ovviamente il raggiungimento di una diagnosi per i pazienti italiani con malattie rare senza nome, attraverso obiettivi intermedi, quali:

-          la raccolta dei dati dei pazienti individuati prevalentemente attraverso la Rete Nazionale malattie rare (D.M. 279/2001), usando standard e terminologie comuni per la classificazione (human phenotype ontology, HPO);

-          la gestione di un database nazionale interoperabile a livello internazionale che condivide i suoi dati con il network UDNI;

-          la caratterizzazione genetico-molecolare di casi selezionati;

-          la messa a punto di strumenti bioinformatici per il data sharing a livello nazionale/internazionale;

-          l’incremento e il consolidamento di collaborazioni nazionali e internazionali.

 

I pazienti inclusi nel programma sono adulti e pediatrici, caratterizzati da una ereditarietà genetica familiare, sporadica e a singolo caso; la loro caratteristica principale è l’assenza di diagnosi anche dopo molte indagini effettuate per un lungo periodo e, ovviamente, la totale mancanza di ipotesi circa una relazione tra il loro genotipo e il fenotipo. Il database conta finora un totale di 110 casi, ma certamente molti altri aspettano ancora di essere presi in esame e condivisi a livello nazionale e internazionale alla ricerca di un nome e, auspicabilmente, di una terapia.

Ad oggi il Network conta un totale di 9 centri: il Centro di Coordinamento Rete Malattie Rare del Piemonte e Valle d'Aosta, Università degli studi di Torino (Torino); l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri (Ranica - Bergamo); il Centro di Coordinamento Regionale Malattie Rare (Udine); l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” (Roma); l’Università di Ferrara (Ferrara); l’Università degli Studi di L’Aquila (L’Aquila); l’IRCCS Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza San Giovanni Rotondo (Foggia); la U.O.C Genetica Medica Azienda Ospedaliera Bianchi Melacrino Morelli Reggio Calabria (Reggio Calabria); l’Università degli Studi di Catania (Catania).

 

 



 

 

  • Data di pubblicazione 3 maggio 2021
  • Ultimo aggiornamento 3 maggio 2021