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Mikk ed Helene, il dolore per i figli persi diventa il filo di una rete per la diagnosi delle malattie sconosciute

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Wilhelm, Hugo e Emma non ci sono più. Ma i loro genitori, Helene e Mikk Cederroth, che non hanno mai conosciuto il nome della malattia che glieli ha portati via, non si sono arresi e continuano a cercarlo per tutti gli altri bambini che ancora non hanno una diagnosi.

Sono stati loro, infatti, la Wilhelm Foundation, a organizzare, a Stoccolma, insieme al Karolinska Undiagnosis Disease Program (UDP) e in collaborazione con la Rete Internazionale delle malattie non diagnosticate (UDNI), il primo Undiagnosed Hackaton al mondo con 95 esperti fra cui medici clinici, genetisti e bioinformatici chiamati da sei continenti ad affrontare casi complessi in una maratona durata 48 ore consecutive grazie alla quale 4 bambini hanno potuto sapere il nome dello tsunami che ha travolto la loro vita e quella delle loro famiglie.

“Questo Hackaton, questa sfida, questa caccia che esperti di tutto il mondo hanno fatto per due giorni ininterrotti è stato per noi uno dei più grandi risultati che abbiamo avuto come Fondazione – spiega Helene – Grazie al supporto dell’UDP del Karoliska abbiamo potuto raccogliere 13 campioni di sangue provenienti da otto paesi tra cui il Congo, il Ghana, il Pakistan, su cui sono state fatte le analisi in Svezia e così abbiamo risolto quasi un terzo dei casi”. Ma quello che più preme a Helene è aver dimostrato, con questa esperienza, “l’importanza di lavorare insieme a livello globale partendo proprio da UDNI che mediante due suoi gruppi di lavoro, uno dedicato alla diagnostica e l’altro alla collaborazione con i paesi a basso e a medio reddito ha contribuito al successo dell’Hackaton, ideato proprio per aiutare i pazienti dei paesi con maggiori difficoltà  ad avere una diagnosi usando una rete di conoscenze internazionali”.

E se in quarantotto ore sono stati risolti quattro casi, il gruppo di esperti che si è riunito a Stoccolma, cercherà di non lasciare insoluti gli altri, lavorandoci nei tre mesi successivi incoraggiati dal successo ottenuto in un week end di lavoro. L’appuntamento infatti è per il prossimo 22 e 23 ottobre a Tiblisi (Georgia), in cui si svolgerà la XII Conferenza di UDNI e verranno presentati i risultati ottenuti nei 13 casi totali.

Questo ne hanno fatto del dolore Mikk ed Helene: la tessitura di una rete per accogliere quello degli altri. Nel nome dei loro tre bambini cercano di costruire le coordinate nel labirinto delle malattie senza diagnosi, di orientare le famiglie che ci entrano dentro, di costruire una famiglia vera e propria che li prenda per mano “Insieme a Domenica Taruscio, che allora dirigeva il Centro Nazionale Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità, e a William  Gahl Direttore del Network UDP americano nel 2014 abbiamo avviato e promosso la rete UDNI che oggi coinvolge esperti di oltre 40 Paesi che collaborano per affrontare le malattie complesse – spiega Helene – quando ho perduto i miei figli ero davvero in un’altra dimensione, avevo persino paura di parlare in pubblico, in inglese, oggi questa rete è come una famiglia per me, la famiglia UDNI, e ho imparato che ci sono tante persone meravigliose che amano i loro pazienti e non si arrendono”. A venti anni di distanza dalla perdita dell’ultimo bambino di strada ne hanno fatta: “sono loro a darmi ancora energia e a combattere ancora di più ogni volta che un bambino che non ce la fa perché nessuno, a dispetto di tanti pediatri che dicono che tanto un nome non cambia le cose, deve rassegnarsi a morire e soprattutto senza sapere perché”.

Helene oggi ricorda ancora tutti gli espedienti, i trucchi, con cui, insieme a loro, provava a rovesciare il dolore. A partire dalle piccole cose: un giorno, durante una passeggiata nel bosco avevano fatto una sosta per prendere la medicina delle undici, una soluzione nutritiva con un terribile odore, l’unica cosa che potevano mangiare senza rischi, mentre lei prendeva con loro il caffè. “L’odore di quel preparato era terribile e io lo nascondevo nei bicchieri rossi della coca cola, con il coperchio e la cannuccia, e, come in un gioco, fingendo che fosse una bibita e cercando di fargli sentire il profumo del bosco – ricorda – cercando di cancellare quell’odore nauseabondo con quel piccolo inganno che ci restituiva la gioia di stare insieme”.

Tutto questo Helene lo conserva nel cuore come una linfa per nutrire ancora tutta la vita che resta: “dopo di loro non potevo non fare nulla, dovevo provare a cambiare le cose – dice –  e così ho creato una rete, la più grande possibile, dove accogliere tutti i bambini che hanno bisogno di una diagnosi, perché tutto il mondo possa sapere dove sono e occuparsi di loro”.

Dentro quella rete sicuramente ci sono anche Wilhelm, Hugo, Emma, ogni volta che Helene a quella rete aggiunge una maglia.

 

  • Data di pubblicazione 11 luglio 2023
  • Ultimo aggiornamento 11 luglio 2023