A cura di Luana Penna, Ufficio Stampa ISS
Le barriere architettoniche rendono in molti casi inaccessibili i centri antiviolenza alle donne con disabilità o a chi, anche solo temporaneamente, ha difficoltà motorie magari proprio a seguito della violenza subita.
È un “paradosso crudele” quello che denuncia Daniela Iannone, scrittrice con Sma, atrofia muscolare spinale.
In occasione della giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne Iannone, che ha preso contatto con i centri antiviolenza per rendere disponibile il suo libro “Figlie di Artemisia”, che esplora la dinamica tossica delle relazioni abusive, mette in rilievo anche un altro aspetto: se una persona non può compiere nemmeno il gesto manuale del segnale di aiuto - il pollice piegato nel palmo e le dita chiuse a pugno - perché la sua motricità non glielo permette, non può comunicare che si trova in difficoltà.
“Le persone con disabilità hanno lo stesso diritto degli altri di chiedere aiuto - puntualizza Iannone - solo che spesso l’aiuto non è a loro misura. Il punto è che non si è mai pienamente considerato che una donna con disabilità possa essere vittima di violenza. Di conseguenza, l’accesso ai servizi è solo parzialmente garantito. È un’assenza che pesa”.
“Gli operatori cercano di fare il possibile e le consulenze online possono essere utili - aggiunge -. Ma viene spontaneo chiedersi: se il problema è proprio dentro le mura domestiche, se il maltrattante è a pochi metri di distanza, come si può realmente lanciare un allarme?”.
“Ci sono persone che vivono condizioni drammatiche - evidenzia infatti -: donne intubate o con grave disabilità, intrappolate in casa con un partner violento, magari alcolizzato”.
“Tutte devono poter accedere all’aiuto - conclude Iannone -. Anche una madre che subisce violenza e vive 24 ore su 24 accanto a un figlio con disabilità. Dobbiamo sollevare le coscienze, perché nessuna donna venga lasciata sola, e perché ogni centro antiviolenza sia davvero un luogo sicuro e accessibile per tutte”.