Un gene della longevità potrebbe fare da “scudo” protettivo contro la progeria, rarissima malattia genetica che provoca un invecchiamento precoce e porta i pazienti, spesso bambini, a un’aspettativa di vita media di soli 14-15 anni. E’ quanto emerge da uno studio internazionale coordinato dall’IRCCS MultiMedica di Milano e dall’Università di Bristol, pubblicato sulla rivista Signal Transduction and Targeted Therapy. La ricerca, finanziata dal Medical Research Council (Regno Unito) e dal Ministero della Salute italiano, ha indagato gli effetti della variante genetica LAV-BPIFB4, individuata nel DNA dei centenari e già nota per le sue proprietà protettive sul sistema cardiovascolare. I risultati hanno mostrato che questa variante può contrastare i danni cardiaci ed epatici della progeria, favorendo persino il recupero del peso corporeo nei modelli animali.
La sindrome di Hutchinson-Gilford o progeria è causata da una mutazione del gene LMNA, che porta alla produzione di una proteina tossica chiamata progerina. Questa sostanza danneggia il nucleo delle cellule e accelera i processi di invecchiamento.
Ad oggi, non esistono cure risolutive: l’unico farmaco approvato, il Lonafarnib, agisce riducendo la sintesi e l’accumulo di progerina. Un secondo trattamento, il Progerinin, è in fase di sperimentazione clinica.
Gli esperimenti condotti dall’équipe hanno utilizzato sia modelli animali sia cellule umane di pazienti.
Nei topi con progeria, la somministrazione del gene LAV-BPIFB4 tramite terapia genica ha portato a:
· miglioramento della funzione cardiaca e della vascolarizzazione
· riduzione della fibrosi e dei segni di invecchiamento nei tessuti cardiaci ed epatici
· recupero del peso corporeo.
Risultati incoraggianti sono emersi anche su cellule umane: nei fibroblasti cutanei di pazienti con progeria, notoriamente caratterizzati da alti livelli di fibrosi e senescenza, l’introduzione della variante protettiva ha ridotto queste anomalie.
“Si tratta del primo studio che mostra come un gene associato alla longevità possa contrastare i danni cardiovascolari della progeria - spiega Annibale Puca, Research Group Leader dell’Irccs MultiMedica e Preside della Facoltà di Medicina dell’Università di Salerno - . Questi risultati aprono la strada allo sviluppo di nuovi farmaci biologici capaci di migliorare la qualità e l’aspettativa di vita dei pazienti”.
“Abbiamo dimostrato - aggiunge professor Paolo Madeddu, professore emerito all’Università di Bristol - che geni con funzioni opposte nell’invecchiamento possono interagire tra loro, attenuandone gli effetti patologici. I geni protettivi dei centenari potrebbero diventare la base per un vero e proprio cocktail terapeutico contro l’invecchiamento precoce”.