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Chiara Acchioni e la malattia di Stargardt: “Fa parte di me, senza sarei stata una persona diversa, da miei genitori una lezione di tenacia”

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di Raffaella Ammirati (giornalista Adnkronos Salute)

Una diagnosi all’età di 10 anni: “Maculopatia di Stargardt”, malattia degenerativa della retina, ancora senza cura. Quasi una 'sentenza' che nel giro di sei mesi ha cancellato i contorni del mondo fino a quel momento visibile. Poi la 'fortuna' di incontrare un bravo oculista, in una città di provincia, in grado di riconoscere una patologia così rara. E la forza di due genitori che non si arrendono, che non si fermano di fronte alle prime 'non risposte', in grado di trasmettere la loro tenacia. Infine la malattia, il dramma che diventa però anche 'motore' e 'motivazione' per una vita dedicata alla scienza.

Chiara Acchioni, ricercatrice presso il Dipartimento di malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), esperta di HIV, scelta tra i migliori dieci scienziati di Italia under 40 nel 2021 da 'Fortune Italia', si è raccontata così all'Adnkronos Salute. “Può sembrare strano, ma considero la mia malattia parte di me. So che senza sarei stata un'altra persona, diversa da quella che sono. E quella che sono mi piace”, dice la giovane scienziata raccontando la sua storia. “La mia malattia si è manifestata quando ero piccola - ricorda - con una forte riduzione della vista. Sono diventata ipovedente in pochi mesi. Eravamo alla fine degli anni '90. Le informazioni su questa malattia erano poche e le possibilità di fronteggiarle nulle, se si escludono gli integratori per contrastare la degenerazione della macula che hanno un effetto relativo”. Fortunatamente, “dopo un grosso danno iniziale la malattia ha rallentato. Ho fatto di tutto per frenarla, facendo attenzione alle piccole cose: protezione della luce, dieta sana. Per il resto la cura non c'è ancora oggi. Le uniche speranze vengono da un'eventuale terapia genica, visto che si tratta di una malattia dovuta a una mutazione genetica”, precisa Acchioni che ha una sorella con la stessa patologia, “diagnosticata quattro anni dopo di me”. E che, come lei, ha scelto di dedicarsi alla scienza.

“La mia malattia - racconta ancora - è stato anche il motore che ha spinto e trainato tutto quello che ho fatto nella vita. Non è stato semplice studiare, non c'erano ancora gli strumenti per renderlo più agevole nella mia condizione. Non è stata semplice l'università, né il dottorato di ricerca. C'erano muri da superare, ma la mia malattia è stata anche una motivazione. Mi occupo di cose diverse, di patologie infettive, ma di scienza c'è bisogno in ogni situazione per aiutare le persone ad avere opportunità o anche solo sollievo e normalità (relativa) di vita. Ancora oggi non è semplice per me stare in laboratorio. All'ISS ho avuto la fortuna di lavorare in un gruppo che mi ha consentito di fare tutto in autonomia, fornendomi gli strumenti più adatti a svolgere il mio lavoro in modo indipendente e autosufficiente. Oggi, contro ogni previsione, faccio un lavoro sperimentale: una sfida che sarebbe grande anche senza la malattia. Con la malattia è una sfida nella sfida”.

Con il tempo, prosegue Acchioni, “ho imparato ad utilizzare la poca vista che ho e trarre il massimo da quello che è rimasto. Sorprendentemente, con tanto impegno, riesco fare cose che quando mi sono ammalata - e anche dopo, per molti anni - non avrei mai pensato di fare. Ed è questo messaggio che mi piacerebbe trasmettere alle persone che si trovano nella mia condizione. La diagnosi è stata una batosta. Ma la malattia, nel bene e nel male, è parte di me e faccio fatica a pensare a una vita diversa da quella che ho. Convivo serenamente con il 'pacchetto completo', malattia compresa”.

Senza questa 'scomoda compagna', riflette la scienziata, “forse non avrei creduto alla ricerca quanto ci credo ora. Sicuramente la scienza è ciò che mi ha dato e mi dà speranza. Non a caso anche mia sorella, con la mia stessa malattia, ha fatto la mia stessa scelta. Ma credo anche nella necessità di andare oltre le proprie condizioni. Nella vita non ho incontrato sempre persone che mi hanno incoraggiato. C'è stato anche chi pensava che avrei dovuto accontentarmi di quanto potevo fare. Oggi cerco quotidianamente di considerare ogni limite - non necessariamente una malattia, ma anche un problema caratteriale, per esempio - come qualcosa che è là per farci capire dove possiamo andare e come possiamo superarlo. Ciò che cerco di spiegare, nelle occasioni in cui mi capita, è che disabilità non deve voler dire fallimento, ma in alcuni casi può essere un motore propulsivo”.

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  • Data di pubblicazione 21 aprile 2022
  • Ultimo aggiornamento 21 aprile 2022