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Malattia di Lyme: diagnosi tardive e cure fuori regione. Il 66% dei pazienti costretto a cambiare progetto di vita. Carente la formazione di medici e operatori

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Dall’insorgere dei primi sintomi alla diagnosi trascorrono diversi mesi, in alcuni casi anni, con almeno cinque visite, una serie di accertamenti e consulti medici, condotti anche fuori dalla regione di residenza, e un esborso monetario superiore a 500 euro, spesso oltre i 1.000 euro. Questa la fotografia scattata dal report “Malattia di Lyme, la voce di pazienti e caregiver”, scaturito dai risultati di due questionari proposti rispettivamente a pazienti con malattia di Lyme e ai loro caregiver, tra il 15 giugno e il 6 settembre 2021, dall’Associazione Lyme Italia e coinfezioni con la collaborazione di UNIAMO FIMR Onlus e con il patrocinio dell’Azienda Sanitaria Universitaria Integrata Giuliano Isontina (ASUGI) di Trieste.

La malattia di Lyme o Borreliosi di Lyme è una zoonosi, ovvero una malattia trasmessa da vettori, in questo caso dal morso di una zecca, appartenente alla specie ixodes ricinus (la zecca dei boschi), che si fa vettore del batterio responsabile della patologia: la spirocheta Borrelia burgdorferi. Si tratta dunque di una malattia rara di tipo infettivo-parassitario, il che significa che può colpire chiunque e non solamente, come avviene nella maggior parte delle malattie rare, chi è geneticamente suscettibile. Dà origine a un’infezione multisistemica, di cui la manifestazione più tipica, ma non sempre presente, è l’Erythema Migrans (ovvero un eritema migrante che si diffonde a partire dal punto del morso). Il quadro clinico, complesso e variabile, può simulare diverse affezioni cutanee e neurologiche, per cui la patologia viene chiamata anche “Grande Simulatrice”. Gli organi più frequentemente colpiti sono: cute, sistema articolare, sistema nervoso, cuore, occhi. La diagnosi precoce e un’adeguata terapia  (in genere, quest’ultima, a base di antibiotici) sono fondamentali per un decorso favorevole della patologia.

 L’indagine

Il 73% di chi ha una diagnosi, l’ha ricevuta da un medico specialista, il 21% presso un Centro per le malattie rare e il 5% dal medico di base. Senza considerare che non tutti arrivano a una diagnosi certa e che, anche quando questo avviene, non si traduce sempre nell’ottenimento del codice di esenzione RA0030 previsto per la malattia di Lyme. Ne è in possesso solo il 58% dei pazienti.

Quanto alla cura, si legge nel report, che solo un terzo dei pazienti riceve i trattamenti terapeutici nel luogo di residenza, il 25% è costretto ad uscire dalla propria regione mentre il 35% va addirittura all’estero. Sempre per le cure i pazienti si rivolgono in egual misura sia a strutture del sistema sanitario nazionale (51%) che a strutture private (49%). Il principale motivo (44%), in questo secondo caso, è una maggior competenza che i pazienti associano alle strutture private, oltre alle tempistiche più favorevoli (28%). Anche l’impegno economico è significativo e spesso affrontato con difficoltà dai pazienti e dai caregiver, per il 68% dei pazienti l’esborso annuo è maggiore di 1.000 euro.

Sul fronte dell’assistenza non va meglio. La presa in carico è presente solo in pochi casi e sebbene il PDTA sia una prerogativa delle malattie rare, la maggioranza dei pazienti (80%) non sa cosa sia. Il 72% non è seguito da un’equipe medica di specialisti. Del 28% di rispondenti che la possiede, il 53% ritiene che al suo interno non vi siano tutti gli specialisti necessari per la propria patologia, mentre l’80% lamenta l’assenza di uno psicologo.

Alla luce di quanto emerso – dichiara nel report Daniela Colombo, presidente dell’Associazione – continua l’impegno della nostra associazione ad organizzare momenti di formazione ECM rivolti al personale medico sanitario per promuovere la formazione e l’aggiornamento scientifico.  Auspichiamo un accoglimento in ambito nazionale della risoluzione del Parlamento Europeo 2018/2774 sulla malattia di Lyme in cui sono presentate una serie di raccomandazioni per agevolare il percorso diagnostico e terapeutico che presenta diverse criticità in molti Stati dell’Unione Europea.  Non certo secondaria è l’opera di sensibilizzazione che va fatta verso le stesse istituzioni e la società tutta al fine di rendere operative quelle tutele e tutti quegli strumenti, iniziative, progetti per non far sentire abbandonati i pazienti e i loro famigliari”.

La malattia di Lyme ha, infatti, si legge ancora nell’indagine, un impatto rilevante nella vita quotidiana di chi ne soffre. Due terzi (il 66%) di coloro che hanno partecipato al questionario è stato costretto a lasciare o modificare il proprio lavoro o percorso scolastico: il 34% ha dovuto a lasciare la propria attività lavorativa/scolastica temporaneamente, il 21% definitivamente, l’11% ha dovuto cambiare lavoro o percorso di studi. Anche i caregiver sono costretti ad assentarsi parecchio dal proprio lavoro per assistere il famigliare malato. Tra gli stati d’animo “misurati”: l’86% dei pazienti si è dichiarato notevolmente stanco; il 64% incompreso, il 79% ha affermato che vivere con la malattia di Lyme significa non avere leggi che garantiscono un’adeguata tutela.

Quello che auspichiamo – conclude la Dott.ssa Colombo - in un futuro non troppo lontano è poter avviare, sia ai fini della sensibilizzazione sociale che della formazione del personale medico sanitario, in ultima analisi del miglioramento della qualità di vita dei pazienti, un’equipe multidisciplinare specializzata sulla Malattia di Lyme, in collaborazione con le istituzioni e la comunità scientifica”.

Il campione

l numero totale dei pazienti che si sono sottoposti al questionario è di 150, di cui più di due terzi è di genere femminile. Riguardo all’età oltre la metà (53%) ha tra i 40 e i 59 anni, il 32% tra i 18 e i 39 anni, il 14% ha un’età superiore ai 60 anni. Hanno risposto più numerosi (75%) dalle regioni del Nord Italia, il 12% dall’Italia centrale e il 10% dal Sud e dalle Isole. Una piccola parte (3%) del campione risiede all’estero in Stati quali il Belgio e la Svizzera.

I caregiver che hanno risposto al questionario sono 28, di cui la grande maggioranza (68%) di genere femminile. Per quanto riguarda l’età, il 46% dei caregiver ha più di sessant’anni, il 39% ha un’età compresa tra i quaranta e i 59 anni e il 14% ha tra i 18 e i 39 anni. Dal punto di vista geografico, i rispondenti si distribuiscono maggiormente in Piemonte, Lazio, Lombardia e Veneto.

 

 

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  • Data di pubblicazione 4 aprile 2022
  • Ultimo aggiornamento 4 aprile 2022