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Valentina Tomirotti: mi batto per un mondo “a misura” di tutti

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Intervista di Asia Acione

“Un’attivista carrozzata”. Così si definisce Valentina Tomirotti con parole che meglio non potrebbero rappresentare il suo grande impegno per la difesa dei diritti civili e il modo, deciso e battagliero, che non si ferma davanti a ostacoli, porte chiuse e pregiudizi, con cui porta avanti le sue attività. D’altra parte, il sorriso coinvolgente e il nome con cui è conosciuta online, Pepitosa, non lasciano dubbi.

Classe ’82, mantovana, giornalista (e molto altro, tra cui social media manager, content creator, blogger), si occupa di comunicazione web e social, con la ferma convinzione che in questo campo, quello della comunicazione appunto, non esistono frontiere e che bisogna, come scrive sul suo sito, “far girare le parole”.

 Cosa fa Valentina per aumentare sensibilità e consapevolezza sulle tematiche della disabilità?

 “Lavorando con i social riesco a veicolare il messaggio con un’economia maggiore, ho anche un blog da diversi anni che funge da vetrina per un mondo “su misura” per chi in generale è portatore di disabilità motoria. Sostengo il concetto di universalità dei bisogni ma per onestà intellettuale mi concentro sugli aspetti e le tipologie di disabilità che conosco e su cui ho acquisito competenza”. 

 Nel concreto, come riesci a far passare i messaggi di inclusione quando lavori con le aziende?

 “Collaboro con le aziende in maniera un po' ibrida, dividendomi tra il ruolo di influencer e quello di consulente della comunicazione. Oltre ad avere un’immagine in grado di promuovere i concetti in maniera autonoma, la mia professionalità e competenza mi hanno fatto acquisire autorevolezza. Nel concreto, collaboro a progetti che non hanno una finalità puramente commerciale ma anche informativa, divulgativa. Da un lato, dunque, c’è la progettualità dell’azienda, dall’altro c’è la mia volontà di scuotere l’azienda e tutti i suoi partner per renderli consapevoli del fatto che anche le persone disabili sono attori centrali in quanto consumatori. Un esempio può essere il make up: sappiamo quanto questo settore sia una nicchia iper femminile e stereotipata che chiude le porte a chi non vi aderisce. Ebbene, anche la persona con disabilità può usare il make up per sentirsi più bella.

Con un’azienda (Layla Cosmetics) abbiamo realizzato un progetto consistente in un salotto virtuale (una diretta Instagram sul canale aziendale) su sesso e disabilità, ovvero sui diversi modi di vivere l’intimità, con Rocco Siffredi, anche lui, come me, vittima di etichette difficili da scollare. La mia immagine, d’altronde, nella percezione stereotipata dell’immaginario collettivo, parla chiaro: secondo la società non sarei meritevole né di professionalità né di una vita di coppia, e forse nemmeno di una vita sociale appagante, che prevede ad esempio andare ad un concerto o frequentare gli amici”.

 Quindi utilizzare questi canali è un modo per affrontare dei tabù?

 “Mentre racconto quanto un rossetto sia performante molte persone si rendono conto della normalità che ci accomuna”.

 Il tuo attivismo fa proprie, in un certo senso, alcune tematiche del femminismo intersezionale, ossia delle diverse connessioni tra discriminazioni.

 “Sì, attraverso il mio canale parlo di tematiche femminili e femministe che sono declinate all’interno della mia quotidianità: la doppia discriminazione ad esempio come donna e come disabile. E’ emblematico, al riguardo, ciò che avviene nel mondo sanitario che deve offrire salute ma che è pieno di barriere architettoniche, non solo fisiche, funzionali, ma anche concettuali: io ad esempio, non riesco a rimanere in piedi, e se devo fare una mammografia è un problema perché la macchina standard non si muove, non si abbassa, l’unica struttura che ha disponibilità di un macchinario in grado di abbassarsi è a centinaia di km da dove vivo. È una discriminazione anche culturale: come se non venisse messo in conto che una persona con le mie caratteristiche abbia diritto allo screening che è invece per tutte. Per non parlare della visita ginecologica: quando sono stata reputata idonea per età all’accesso agli screening sono stata chiamata per il Pap test, ho comunicato che ero una persona disabile in carrozzina e poi di non aver ancora avuto rapporti. Non mi hanno più chiamata, né l’anno dopo e né quelli successivi come se fossi stata depennata da un servizio a cui tutte le donne sono invitate a sottoporsi ogni anno”.

 Cosa serve perché tutto questo cambi?

 “La cosa che più auspico è che le persone vengano ascoltate davvero, per quelle che sono le loro esigenze legittime, i loro bisogni. Occorre partire da qui, perché dall’ascolto nasce poi la soluzione”.

 

 

 

  • Data di pubblicazione 16 febbraio 2022
  • Ultimo aggiornamento 16 febbraio 2022