Nell’aprile scorso sono stati pubblicati su “Frontiers in Endocrinology” i risultati del progetto APEX (Advancing Patient Evidence in XLH) consistito nell’unificazione e nell’analisi dei dati riguardanti l’ipofosfatemia legata al cromosoma X (XLH). Lo ricordiamo oggi, 23 ottobre 2025, in occasione della Giornata europea dell’XLH.
Il progetto – come riportato dall’Associazione Italiana dei Pazienti con Disordini Rari del Metabolismo del Fosfato (AIFOSF) - è un’iniziativa globale di raccolta dati, ideata e coordinata dalla Prof.ssa Maria Luisa Brandi, presidente di Fondazione FIRMO (Fondazione Italiana per la Ricerca sulle Malattie dell'Osso) e di OFF (Osservatorio Fratture da Fragilità), finalizzata a colmare le lacune nella conoscenza della malattia e nell’efficacia e sicurezza dei trattamenti. La ricerca ha unificato i dati di tre studi osservazionali, effettuati nell’arco di 10 anni in Europa, Americhe, Israele, Giappone, Corea del Sud, per un totale di circa 2000 partecipanti pediatrici e adulti con XLH. Il dataset globale ottenuto è il più grande mai realizzato per l’XLH con l’obiettivo di migliorare decisioni cliniche e pratica medica.
L'XLH è causata da una mutazione del gene PHEX che provoca livelli eccessivi del fattore di crescita dei fibroblasti 23 (FGF23), e questo, a sua volta, è causa della perdita di fosfato per via renale. I bassi livelli di fosfato nel sangue hanno conseguenze negative sulla mineralizzazione di ossa e denti, sulle articolazioni e sulla muscolatura. I problemi clinici iniziano nell'infanzia (deformità agli arti inferiori, rachitismo, rallentamento della crescita) continuano durante l’età evolutiva e persistono o peggiorano nell'età adulta (fratture, dolore articolare e debolezza muscolare). L’incidenza della patologia – si legge sul sito dell’Associazione Italiana Sostegno Malattie Metaboliche Ereditarie (AISMME) - è di circa 1 su 21-25.000 nati vivi.
APEX ha raccolto anche le evidenze sulla somministrazione di Burosumab, un anticorpo monoclonale umano diretto contro il FGF23, disponibile dal 2018 in Europa, USA e altri Paesi come trattamento innovativo, alternativo alla terapia con fosfati orali e vitamina D attiva. Ne ha evidenziato gli effettivi miglioramenti nei livelli di fosfato nel sangue, nella guarigione delle fratture, nella riduzione di effetti collaterali, ma anche le lacune come complicazioni dentali e deformità agli arti inferiori, non pienamente affrontate dal trattamento con Burosumab.
Nel gennaio scorso, inoltre, sono state pubblicate su Nature Reviews Nephrology le nuove Linee Guida sulla pratica clinica per la diagnosi e la gestione della XLH al fine di assistere i clinici nella cura dei pazienti pediatrici e adulti e migliorare la qualità di vita dei pazienti stessi. Il documento include nuove evidenze relative proprio al trattamento con Burosumab.