A cura di Elida Sergi, Ufficio Stampa ISS
Dylan è un rubacuori. A cinque anni, con la sua dolcezza, colpisce chiunque abbia la fortuna di conoscerlo anche solo tramite i sorrisi postati sui social dalla sua mamma, Noemi.
Positività e amore da cui il bambino è circondato fanno però da contraltare alle conseguenze di una malattia complessa dalla quale è colpito, la sindrome di Dravet, una forma rara di epilessia con conseguenze gravi sullo sviluppo neurologico che insorge nella prima infanzia. Questo fa si, ad esempio, che pur abitando a due passi dal mare Dylan non possa andarci e trascorra l’estate a casa. Anche programmare qualsiasi attività giornaliera è difficile, se non impossibile: le crisi epilettiche possono presentarsi infatti in ogni momento, bisogna avere a portata di mano il farmaco da somministrare e il bimbo potrebbe ad esempio cadere con conseguenze molto gravi specie se si trova all’aperto. Occorre poi fare i conti con uno sviluppo di Dylan, che non è quello di un bambino della sua età e con il fatto che la sua fragilità non favorisca purtroppo la socialità con altri bambini.
Noemi, che non si perde d’animo, è l’ombra del figlio: dedicata a lui, sempre pronta a intervenire se serve, l’occhio rivolto con dolcezza ai piccoli e grandi traguardi che Dylan raggiunge.
“Conosco mio figlio solo con la malattia, l’esordio è stato precocissimo, a due mesi - sottolinea -. La prima volta non sapevo neppure che quella in corso fosse una crisi epilettica, durante le convulsioni mi sono accorta che muoveva il braccino a scatti. Qualche giorno dopo, a seguito di un rialzo febbrile, la situazione è peggiorata. Peraltro, le crisi erano molto ricorrenti e prolungate, si verificavano più volte al giorno duravano anche oltre i 40 minuti. È arrivato così il primo ricovero a Pescara, dove nella delicatezza del momento abbiamo avuto la fortuna di entrare subito in contatto con la responsabile delle malattie rare. È iniziato così il percorso che ha portato agli approfondimenti diagnostici, alla somministrazione di un primo farmaco, e all’avvio dei test genetici poi analizzati all’ospedale Meyer di Firenze. È risultato che si trattava di sindrome di Dravet de novo, né io né il papà di Dylan eravamo cioè portatori del gene della malattia. Altri ricoveri successivi, in pieno Covid, li abbiamo affrontati all’ospedale Salesi di Ancona, dove Dylan è stato seguito dalla dottoressa Sara Matricardi, della neuropsichiatria infantile, che lo segue anche attualmente a Chieti”.
Oggi il bambino assume una terapia farmacologica complessa e articolata, che ha portato per fortuna a una riduzione drastica della durata delle crisi, di un minuto, seppur non della frequenza. La sua situazione rimane molto complessa: fa sedute riabilitative, le crisi lo lasciano sfinito e con un immenso bisogno di riprendersi, non riesce ancora a parlare ma articola solo alcuni suoni, non è autonomo anche in altre esigenze quotidiane.
Noemi è al suo fianco e dice in questo momento di “non voler pensare a cosa sarà di Dylan dopo di noi”.
La speranza per il futuro è riposta nella ricerca, che non è lontana dal raggiungimento di traguardi importanti.
“Di fronte a una malattia che toglie la libertà di fare qualsiasi cosa - conclude la mamma di Dylan, che è attiva all’interno dell’Associazione Gruppo Famiglie Dravet APS - penso alla ricerca proprio come a qualcosa in grado di restituirci quella libertà perduta”.