A cura di Mirella Taranto, Capo Ufficio Stampa ISS
Quello di Fabrizio Laboureur è un libro che parla dell’urgenza di vivere, prima di tutto. Una diagnosi di cancro, ci spiega, ti ricorda che il tuo tempo non è illimitato e te lo spiega in un solo istante, lo stesso in cui, come dice lui, si perde l’immortalità.
È un libro molto breve, scritto in un linguaggio semplice e chiaro, ed è un viaggio, compiuto in prima persona, nel vissuto della malattia. Un itinerario vero e proprio nei sentieri attraversati durante la sua malattia, dove ha compreso che la cura e la relazione umana sono il recto e il verso della stessa medaglia e dove la qualità della relazione può persino essere, in alcuni casi, condizione della cura.
Il primo dei disegni che precedono gli incipit di ogni capitolo del libro indica un bivio, chiede di prendere una direzione, di fare una scelta tra la vita e la sopravvivenza. Quel bivio, per Laboureur, rappresenta per una persona ammalata, la scelta tra lasciarsi andare e paralizzare la propria vita in funzione della malattia o piuttosto, continuare a riservare a se stessi, invece, uno spazio vitale, pieno, capace di sostenere la fatica delle cure e costruire un nuovo equilibrio senza abdicare alla vita. Vivere prima di tutto, in ogni situazione, perché il cancro è una parte della vita, non è tutta. È questo il suo imperativo, il fil rouge, il suggerimento che attraversa tutti gli argomenti che l’autore affronta, da quelli sociali, l’accettazione sociale della malattia, la difficoltà ad avere riconosciuta la propria disabilità se non di fronte a un busto o una carrozzina, fino a quelli interiori, emotivi, che sono però la spina dorsale su cui costruire la resistenza alla malattia e a tutto il resto.
Laboureur ci spiega l’importanza delle parole che usiamo, ci dice che non c’è un manuale per cercarle e che le parole giuste per parlare di cancro, sono spesso quelle che nascono dalla capacità di mettersi in sintonia con l’altro, di riconoscere il suo dolore e di rispettare le emozioni che ne scaturiscono. Ed è l’ascolto, quindi, a determinare la qualità della relazione e del linguaggio.
Il libro di Fabrizio Laboureur è bello perché non è un saggio. È un abecedario delle emozioni di chi la malattia l’ha attraversata. Il libro parla a chi si è seduto su una poltrona per la chemioterapia, a chi si è sentito paralizzato dalla comunicazione della diagnosi, a chi ha avuto accanto un compagno o una compagna innamorata o a chi l’ha persa, a chi ha avuto un nuovo peggioramento e a chi si è isolato. È come leggere il diario di chi ha fatto lo stesso nostro viaggio e ritrovarci luoghi, situazioni, domande, paure e speranze. La sua, adesso, è anche quella di devolvere i proventi del libro per regalare la clown terapia ai bambini nei reparti di oncologia pediatrica, perché, mentre sono in ospedale, possano continuare a sorridere e a guardare avanti.
D’altra parte, Fabrizio Laboureur è un architetto e non potrà rinunciare mai a costruire e a pensare il futuro.