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“Emocromo a domicilio”, i pazienti con trombocitopenia immune monitorati da remoto

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Le persone che vivono con trombocitopenia immune (ITP), una rara forma di malattia autoimmune della coagulazione, potranno continuare ad essere costantemente monitorati, come richiede la loro patologia, senza rischiare di contrarre l’infezione da SARS COV2 in ospedale, dove sono costrette a recarsi per assidui controlli.

Il Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS di Roma, infatti, è il primo centro – a cui se ne aggiungeranno altri in tutta Italia - ad aver attivato il programma “Emocromo a domicilio”, promosso da Novartis, che consente ai medici di monitorare da remoto l'evoluzione dello stato clinico dei pazienti. In pratica, l'infermiere fa il prelievo direttamente a casa del paziente, consegna il campione al laboratorio di analisi e su una piattaforma virtuale, appena caricati i risultati, sarà possibile per lo specialista consultare il referto in tempo reale, inviando un riscontro al paziente stesso.

 I vantaggi non sono di poco conto. “Considerando che i farmaci più efficaci per il trattamento della trombocitopenia immune (i cosiddetti TPO-mimetici) sono solo a distribuzione ospedaliera e che è necessario un monitoraggio costante della conta piastrinica – spiega Valerio De Stefano, direttore dell'Unità operativa complessa Servizio e Day Hospital di Ematologia della Fondazione Policlinico Gemelli - i pazienti con tale patologia cronica sono legati all’ospedale anche nei momenti di remissione della malattia. Questa iniziativa alleggerisce, dunque, il peso della malattia e migliora l’organizzazione quotidiana, facendo guadagnare all’individuo e alla comunità tutta ore di vita attiva. Non ultimo, i minori accessi in ospedale migliorano il distanziamento sociale reso necessario dalla pandemia e diminuiscono il rischio di contagio”.

 Tuttavia, va anche detto che questi pazienti, come tanti altri, non possono azzerare le visite in presenza. “Il colloquio con il medico per approfondire i dettagli di alcuni sintomi e la visita in presenza per meglio obiettivare eventuali segni legati a sanguinamenti restano uno strumento insostituibile nel rapporto medico-paziente, un momento importante di empatia e vicinanza – va avanti l’esperto - Un paziente con ITP può avere necessità di accedere in ospedale da un minimo di una volta a settimana a un massimo di una volta al mese, anche nei momenti di remissione di malattia. E questo ritmo non diventa più visita medica ma routine di pochi minuti dopo magari attese non brevi. Offrire la possibilità di gestire a domicilio i prelievi ematici, mantenendo con la corretta frequenza i contatti in remoto, e limitare le visite in ospedale a intervalli di tre-quattro mesi, alleggeriscono il paziente e restituiscono dignità ai momenti di incontro in presenza”.

In questo senso, va riconosciuto che la pandemia ha 'prodotto' qualcosa di buono, accelerando le dinamiche di cura o di supporto terapeutico da remoto. “La pandemia ha forzatamente accelerato i processi di digitalizzazione, agendo da catalizzatore per un’offerta tecnologica impensabile fino a poco tempo fa nella vita quotidiana. Le piattaforme informatiche per incontri e riunioni a distanza sono ormai parte della vita di moltissima parte della popolazione. Vanno tuttavia sottolineate due cose. Innanzitutto, non tutti hanno accesso alle facilitazioni digitali e occorre stare attenti a non creare percorsi di qualunque tipo, soprattutto di salute, esclusivamente digitali con impossibilità per qualcuno di inserirsi nel flusso di comunicazione. Un secondo aspetto è la necessità di mantenere un equilibrio tra il ritmo digitale, che non prevede tempi morti, e il ritmo della comunicazione non verbale, essenziale tra tutti e ancora di più nel rapporto medico-paziente. La prossima sfida nell’organizzazione dei percorsi di salute è proprio questa”.      

 

 

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  • Data di pubblicazione 1 marzo 2021
  • Ultimo aggiornamento 1 marzo 2021