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Fibrosi Polmonare Idiopatica, allo studio una nuova promettente molecola

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Per ora è solo una sigla - BI 1015550 - ma promette di diventare un farmaco innovativo in grado di rallentare il declino della funzionalità polmonare nei pazienti con Fibrosi Polmonare Idiopatica (IPF). Si tratta dell’inibitore delle fosfodiesterasi 4b, al centro di un trial in fase 2 pubblicato sul New England Journal of Medicine (NEJM), presentato di recente al congresso dell'American Thoracic Society a San Francisco (USA).

 “Abbiamo coordinato a livello mondiale la fase 2 – ricorda il professor Luca Richeldi, che dirige al Policlinico Universitario Agostini Gemelli (Roma) un Centro di riferimento internazionale sulle fibrosi polmonari e che è la prima firma dello studio in questione, come pure di tutti quelli pubblicati negli ultimi anni sulle molecole al vaglio per la IPF - e saremo i coordinatori mondiali anche per la fase 3, che partirà il prossimo ottobre. Si tratta di un farmaco innovativo, che presenta oltretutto dei vantaggi in termini di effetti collaterali, più contenuti. In vitro e in modelli animali ha dimostrato di avere sia effetti anti-infiammatori che anti-fibrotici; si somministra per bocca, due volte al giorno”.

 I risultati finora hanno dimostrato che questo nuovo farmaco è sicuro, sia in combinazione con altre terapie, che da solo. Inoltre, nei tre mesi di durata della fase 2 la molecola ha stabilizzato la funzionalità respiratoria dei pazienti. “Questo farmaco percorre una via molecolare nuova – commenta Richeldi - e potrebbe dunque avere un effetto sia sinergico che additivo con gli altri due farmaci già utilizzati in clinica”.

 Le terapie per l’IPF

Nel 2012 uno studio pubblicato sul NEJM aveva dimostrato che i cortisonici, che erano stati per un decennio lo standard di terapia per i pazienti con IFP (non sostenuto però da un trial randomizzato), potevano addirittura accelerare la progressione di malattia. Da allora la terapia steroidea è riservata solo alle riacutizzazioni della IPF. “Negli ultimi anni – spiega il professor Richeldi - sono stati introdotti due farmaci, il pirfenidone e il nintedanib, che rallentano la progressione della malattia del 50% circa; quanto prima vengono iniziati, maggiore è la loro efficacia. Hanno tuttavia tali effetti collaterali, che spesso è necessario ridurne la posologia o interrompere il trattamento”.

 “Pirfenidone e nintedanib – ricorda ancora il professor Richeldi - non nascono come anti-fibrotici, cioè come terapie studiate per la IPF; solo in un secondo momento, si è scoperto che avevano un’azione di rallentamento della malattia, ma sono nati per altre patologie: il nintedanib, un triplo inibitore delle tirosin-chinasi, è usato in oncologia per il tumore del polmone; il pirfenidone, che nasce come antibiotico veterinario, ha un effetto anti-fibrotico per meccanismi d’azione non chiariti. Hanno rappresentato un passo avanti epocale per il trattamento dell’IPF. Ma solo un passo avanti, non la soluzione. Rallentano, ma non bloccano e non guariscono la malattia e inoltre sono gravati di un importante profilo di effetti collaterali che, in almeno un terzo dei pazienti, richiede la sospensione del farmaco”.

 Quindi la ricerca farmacologica è continuata. “Al momento, sono in fase di esecuzione due studi di fase 3, uno con la pentraxina, una molecola ricombinante che agisce sui macrofagi, bloccando l’attività di quelli profibrotici; l’altro con il pamrevlumab, un anticorpo monoclonale diretto contro un fattore di crescita per il connettivo. Gli studi, entrambi coordinati a livello mondiale dal nostro Centro, sebbene rallentati dalla pandemia, hanno quasi raggiunto la fine dell’arruolamento. Le fasi 2 di questi studi sono state in precedenza pubblicate su Journal of the American Association (JAMA) e su Lancet Respiratory Medicine. Questi studi potrebbero portare uno o entrambi questi farmaci (a somministrazione endovenosa) nella pratica clinica; ma dovremo aspettare la fine del prossimo anno per acquisire i risultati completi degli studi di fase 3”.

 Cos’è la Fibrosi Polmonare Idiopatica

 La fibrosi polmonare idiopatica è una forma di fibrosi polmonare senza una causa identificata. Sotto questo nome va un gruppo di malattie molto eterogeneo che possono essere causate per esempio da inalazioni di polveri sul luogo di lavoro, essere associate a farmaci o a malattie autoimmuni o, ancora, determinate da fattori genetici. La IPF è una diagnosi di esclusione, che si fa dopo aver valutato tutte le cause possibili. Si stima che i casi in Italia possano essere tra i 30 e i 50 mila, anche se come tutte le malattie rare anche la IPF risente del problema della sottodiagnosi. Colpisce in genere intorno ai 65 anni, più i maschi e i fumatori. La forma ‘idiopatica’ è la più rara e la più grave; in genere la sopravvivenza dal momento della diagnosi è intorno ai cinque anni.

 Pochi anni fa è stata fondata la Federazione Italiana IPF e Malattie Rare Polmonari,  che riunisce molte associazioni afferenti a questa tematica. La FIMARP è nata dalla necessità di creare un legame forte tra le varie associazioni che sul territorio italiano si confrontano con le malattie rare polmonari, rivolgendo particolare attenzione alla fibrosi polmonare idiopatica. Ognuno di tali organismi si impegna da tempo a promuovere iniziative per sensibilizzare la comunità scientifica su diagnosi e ricerca e per supportare i pazienti, con azioni dirette e indirette, creando percorsi specifici di sostegno.


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  • Data di pubblicazione 1 giugno 2022
  • Ultimo aggiornamento 1 giugno 2022