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editoriale

Abitiamo nuovi spazi di libertà. Un progetto per cambiare i paradigmi culturali sulla disabilità

di Alberto Fontana, Presidente dei Centri Clinici NeMO

Il viaggio che i Centri Clinici NeMO hanno intrapreso nel 2008 per rispondere al bisogno di cura di chi vive una malattia neuromuscolare, come la SLA, la SMA o le Distrofie Muscolari è l’espressione di una comunità che, nonostante la malattia, ha scelto di non farsi fermare dalla paura. È la testimonianza, innanzitutto, di progetti di vita che vogliono andare oltre il limite imposto dalla patologia e che ogni giorno vogliono affermare il desiderio di essere risorsa per la società.

Ed è proprio per dare valore a questa visione che nasce “Abitiamo nuovi spazi di libertà”, una sfida che racconta di nuove possibilità e della realizzazione di un sogno che nasce dal desiderio di pensare che tutto sia possibile, a partire dalla consapevolezza che oggi l’innovazione tecnologica rappresenta una reale opportunità di cambiamento per tutti noi.

Il progetto, presentato lo scorso 22 novembre all’Auditorium dell’Ara Pacis a Roma, vede insieme i Centri NeMO e Biogen Italia, con la collaborazione di NeMO Lab - il polo italiano di ricerca tecnologica esclusivamente dedicato alle malattie neuromuscolari, nato nel solco dell’esperienza di cura dei nostri centri – e il patrocinio di AISLA, Famiglie SMA e UILDM, le Associazioni nazionali delle persone con malattie neuromuscolari. Al nostro fianco la comunità scientifica e le Istituzioni.

Un progetto, dunque, che si fonda sul valore dell’alleanza, per dare vita a un laboratorio di studio, sperimentazione e innovazione, fondato sul valore della pluralità di pensiero, di esperienze e professionalità. Per tutti lo stesso obiettivo: costruire sensibilizzazione sul ruolo strategico e fondamentale che la tecnologia può avere nel modificare gli ambienti di vita, primo fra tutti lo spazio domestico, per affiancare e supportare la ricerca di autonomia e autodeterminazione di chi vive la grave disabilità motoria.

Pensare di abitare spazi di libertà, per chi vive l’esperienza di una patologia che costringe a fare i conti ogni giorno con il limite fisico, può apparire quasi un ossimoro. Perché la libertà di vivere in autonomia si accompagna inevitabilmente alla necessità di essere aiutati e supportati anche nei più piccoli gesti quotidiani. Ecco perché l’intento di questo percorso è prima di tutto quello di affermare una nuova visione culturale di società inclusiva, a partire dall’esperienza dell’abitare, e che accoglie in tutta la sua portata il principio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo la quale lo stato di salute è il risultato dell’interazione della persona, nella sua unicità, con l’ambiente che la circonda. In questo senso, un ambiente sfavorevole può creare una condizione di disabilità.

 Un cambio di paradigma, dunque, che dà un significato nuovo a questo concetto, sempre di più inteso come una condizione dinamica tra lo stato di salute della persona e i fattori personali e ambientali legati alle circostanze in cui essa vive. Mi piace molto questa visione, perché ci permette di accogliere la disabilità non più come un problema della persona, bensì come il gap tra ciascuno e l’ambiente nel quale ci si relaziona. E sulla base di questo principio diventa fondamentale lavorare per rimuovere tutte quelle limitazioni funzionali legate all’ambiente e ai contesti sociali e culturali nei quali viviamo.

 La scienza e la ricerca tecnologica, in questo percorso, assumono un enorme valore nel contribuire a cambiare gli ambienti e l’esperienza che viene compiuta in essi. Una tecnologia che è al servizio della ricerca di autonomia di chi vuole riappropriarsi del proprio spazio di vita e che vede nel sentirsi liberi nella propria casa la prima espressione. Una casa sicura, intelligente, pensata a misura del bisogno di ciascuno e al servizio di un progetto di vita che cambia, si evolve e prende strade sempre nuove, anche in funzione della propria storia di malattia.

La survey pilota (vedi allegato) del progetto, che ha coinvolto un primo gruppo di persone con malattie neuromuscolari e loro caregiver, ci conferma come ciascuno viva un’esperienza personale di autonomia nel proprio ambiente domestico che non dipende solo dalla patologia, ma anche dal proprio vissuto, dalle abitudini, aspettative e progetti ed è intorno a questa esperienza di vita che la tecnologia deve costruire una risposta mirata ed efficace. Non solo, a fronte del desiderio di autonomia esistono ancora resistenze e scarsa conoscenza delle opportunità che i nuovi dispositivi di controllo ambientale e domotici possono offrire. Costruire una nuova cultura dell’inclusione significa, dunque, anche rendere concretamente fruibile a tutti le opportunità di una tecnologia che oggi è sempre più raggiungibile.

Un progetto come “Abitiamo nuovi spazi di libertà” vuole essere un contributo al dibattito di valore che oggi si sta sviluppando proprio sui temi dell’abitare e della progettazione di ambienti fondati su un nuovo concetto di accessibilità, unendo comunità medico-scientifica e comunità dei pazienti, insieme a Istituzioni e imprese per dare risposte nuove ai bisogni nuovi di chi vive una malattia neuromuscolare. Un percorso che coglie i principi della Legge Delega sulla Disabilità del 2021 e che ha tra i suoi cardini proprio il concetto di vita indipendente disposto dalla Convenzione ONU del 2006. Un percorso che ha raccolto nel Forward Paper, il documento programmatico di progetto, le pluralità di voci esperte intorno allo stesso obiettivo di valore.

Questa è la sfida a cui siamo chiamati, lavorare perché il pensiero creativo e scientifico vadano oltre la visione del limite, per abbracciare lo sguardo su una nuova immagine di società, nella quale le specificità di ciascuno diventano valore per tutti.

Per prendere visione del Forward Paper e dei contributi del progetto: www.abitiamonuovispazidiliberta.it

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