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Sindrome di Behçet: responsabilizzare e coinvolgere i pazienti nei processi di cura è un bisogno cruciale

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Si chiama empowerment e più che tradursi in italiano con una singola parola esprime un concetto ampio e ricco di azioni. Tutte quelle da mettere in pratica perché il paziente con Sindrome di Behçet (ma non solo), venga “responsabilizzato” sulla propria patologia: ne sia accresciuta la conoscenza, sia reso consapevole, ma anche partecipe a livello decisionale, della gestione della cura e possa, quindi, anche esprimere le sue preferenze e perplessità quanto ad obiettivi, rischi e benefici. Secondo modalità e azioni concrete da pianificare. Proprio queste ultime sono state al centro di uno studio pubblicato su Frontiers in Medicine, condotto da un team di ricercatori di vari enti (tra cui il Centro Nazionale Malattie Rare dell’ISS), atenei e ospedali italiani, e dall’Associazione Italiana Sindrome e Malattie di Behçet.

In particolare, gli studiosi hanno individuato gli step principali su cui lavorare al fine di integrare il processo di cura nella vita del paziente e dunque migliorarne la qualità (e non solo la sua ma anche quella delle famiglie e dei caregiver): la comunicazione medico-paziente, l'autogestione e l'educazione di quest’ultimo, la condivisione del processo decisionale-terapeutico, la partnership nella ricerca e nelle strategie di politica sanitaria.

 Il processo di empowerment dei pazienti, sottolineano gli autori a conclusione dello studio, dovrebbe garantire il coinvolgimento di più parti interessate per essere davvero efficiente ed efficace. Le organizzazioni di pazienti con Sindrome di Behçet (BS), i professionisti sanitari che si occupano della BS e i responsabili delle politiche sanitarie possono giocare un ruolo cruciale nel co-progettare e co-creare iniziative volte a promuovere l'empowerment dei pazienti, nell’ottica di un approccio multidimensionale e multi-stakeholder nella gestione della BS. Un approccio che potrebbe fare, oltretutto, da apripista per la gestione di molte altre malattie rare.

 Alcuni punti chiave: comunicazione, condivisione e autogestione

Grazie a una comunicazione interattiva, medici e pazienti possono condividere preziosi dettagli sull'anamnesi medica, identificare insieme segni e sintomi necessari per una diagnosi corretta e condividere le decisioni sui trattamenti basati sulla valutazione del rischio/beneficio della terapia. Lo studio sottolinea come, tra i vari fattori correlati a un'appropriata comunicazione medico-paziente, vi sia la costruzione di un rapporto di fiducia reciproca e l'uso, da parte del medico, di un linguaggio semplice, comprensibile e non tecnico, così come la comunicazione non verbale sembra essere predittiva della soddisfazione dei pazienti: infatti, la

scarsa comprensione, in alcuni casi dovuta alla terminologia medica durante le consultazioni, può causare ansia, paura e delusione. Inoltre, la comunicazione tra i pazienti e i loro medici è stata notevolmente rivoluzionata dalla medicina narrativa e dall'uso diffuso di siti web, forum e social network che fornisce ai pazienti un accesso diretto alle informazioni mediche e scientifiche disponibili online. In questo scenario, i patient-reported outcomes (gli esiti riferiti dal paziente) rappresentano uno strumento utile a far conoscere ai medici le esperienze e i bisogni dei pazienti.

 Alla comunicazione medico-paziente si lega la condivisione dei processi terapeutici- decisionali. Nello studio si evidenzia come l'aderenza alla terapia sia di solito più alta nei pazienti direttamente coinvolti in tali processi. In particolare, la mancanza di informazioni sui potenziali rischi e benefici delle opzioni terapeutiche e l'inadeguata comunicazione tra medici e pazienti sono alcuni dei principali fattori di rischio per l'interruzione del trattamento da parte dei pazienti. Dunque, non più il vecchio modello paternalistico che si concentrava sulla semplice informazione “dall’alto” alle persone relativa alle opzioni terapeutiche ma la condivisione per giungere a una decisione comune. Ovvero medico e paziente divengono due componenti essenziali: il primo contribuisce con l'esperienza e la competenza, mentre il secondo esprime preferenze e obiettivi personali.

 Il self-management, ovvero l’autogestione del paziente, nasce da due principali esigenze insoddisfatte: la difficoltà del sistema sanitario a sostenere gli sforzi e i costi per affrontare le condizioni croniche e le malattie rare, e il bisogno dei pazienti di sviluppare una maggiore autoconsapevolezza della propria condizione. Ci vuole, quindi, sottolineano gli autori dello studio, motivazione e fiducia in sé stessi ma anche un rinforzo proveniente dalla famiglia, dalle organizzazioni di pazienti e

dai professionisti dell'assistenza sanitaria; come pure, parallelamente, capacità di problem solving e abilità nell'accesso alle informazioni sanitarie, sia digitali che

non digitali.

 

 

 

 

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  • Data di pubblicazione 15 marzo 2022
  • Ultimo aggiornamento 15 marzo 2022